venerdì 11 gennaio 2013

Quando la politica fa autocritica!

Colpiscono le parole di ieri del presidente dell'Eurogruppo, il lussemburghese Jean Claude Juncker, nella sua ultima audizione all'europarlamento prima della fine del suo prestigioso incarico durato otto anni.
Colpiscono perchè sono dichiarazioni di autocritica verso i 27 stati membri dell'Unione, colpevoli secondo Junker, di aver sottovalutato il problema disoccupazione che oggi ha raggiunto il traguardo record di 18,8 milioni di senza lavoro, 2 in più di un anno prima.
Secondo il Presidente, dopo la dura cura imposta ai paesi a rischio default è arrivato il momento di riscoprire «la dimensione sociale» dell’Europa.
Ha così puntato il dito soprattutto sull'assenza di una visione sociale dell’azione europea «che non si può limitare alla semplice austerità punitiva» adottata in questi ultimi tempi. Dichiarazioni importanti se consideriamo che Junker è un conservatore e nel discorso di ieri si è spinto addirittura a citare Marx ed il rischio di perdere credibilità e approvazione della classe operaia.
E' un problema trasversale che interessa sia la macrodimensione europea che quella territoriale, ma che deve per forza essere affrontato in maniera corale, non solo dal punto istituzionale/amministrativo, ma anche politico.

                                                                                  
                                                                                          Sergio Bolzonello

mercoledì 9 gennaio 2013

Park San Giusto? Altro che "no se pol!"



Un punto curioso è che l'opera arreca provato danno a immobili e quindi forse pericolo alle persone, e non è un'opera pubblica ma privata.
Dunque non si comprende per quale motivo gli enti pubblici tollerano la situazione, consentendo un perdurante dan
no a proprietà private (e pubbliche, si pensi alle chiese soprastanti di cui il quotidiano sottace) consentito a un soggetto privato che persegue profitto e non esercita, istituzionalmente, alcuna funzione di garanzia ai cittadini.
Con decine e decine di edifici da mettere in sicurezza sul colle di S.Giusto, il Comune, soggetto preposto, non interviene, e se mai lo farà verrà certamente tacciato di "bloccare lo sviluppo di Trieste".
Qualcuno della Pork S.Giusto dovrebbe spiegare per quale motivo lo "sviluppo di Trieste" debba passare per la demolizione/danneggiamento degli edifici e monumenti (sovrintendenza zitta...) del colle di S.Giusto, no?
Non ultima considerazione, quello che sta avvenendo non dovrebbe sfuggire alla magistratura, visto che i monumenti sul colle sono tutelati per legge e danneggiare il patrimonio storico architettonico è reato penale che si sta beatamente consumando sotto gli occhi di tutti.
Altro che "monitorare i danni e aggiustare le crepe a spese di chi le ha cagionate", una volta alterate le giaciture dei banchi d'arenaria nessuno garantisce che non si muovano poi ancora, quando Pork S.Giusto avrà sbaraccato.

I buoni esempi ci sono, basta saperli ignorare!

Per non dimenticare la rivoluzione islandese.
Per non dimenticare, soprattutto, tutti quei partiti e politici che in questi mesi hanno appoggiato, sostenuto e votato politiche antisociali, che, adesso, in campagna elettorale fanno finta di litigare e, soprattutto, che mai hanno preso in considerazione, ovviamente, questa opzione.
Per non dimenticare gli stessi che, adesso, cercano le alleanze elettorali ad ogni costo, da una parte o dall’altra, “…perchè è l’unica cosa possibile da fare per fare politica in concreto…”, dimenticando una cosa fondamentale.
Che la politica ha come fine etico il bene comune del proprio Popolo non il bene particolare.



icelandic

L’ISLANDA E IL RIFIUTO DELL’ AUSTERITA’

SALIM LAMRANI

Di fronte alla crisi economica, mentre l’Unione europea ha scelto la strada dell’ austerità e ha deciso di salvare le banche, l’Islanda ha invece provveduto a nazionalizzare le istituzioni finanziarie e respinto le politiche di rigore fiscale.
Con un tasso di crescita del 2,7% nel 2012, anche il Fondo monetario internazionale (FMI) ha lodato la ripresa economica del paese.
Quando, nel settembre 2008, la crisi economica e finanziaria colpì l’Islanda, un piccolo arcipelago nel nord Europa abitato da 320.000 persone, l’impatto fu disastroso, come nel resto del continente.
La speculazione finanziaria portò le tre maggiori banche al fallimento, le cui attività rappresentavano una somma dieci volte superiore al PIL della nazione, con una perdita netta di $ 85 miliardi di dollari.
Il tasso di disoccupazione si moltiplicò per 9 tra il 2008 e il 2010, mentre il paese un tempo godeva della piena occupazione. Il debito dell’Islanda rappresentava il 900% del PIL e la moneta nazionale venne svalutata del 80% nei confronti dell’euro.
Il paese fu immerso in una profonda recessione, con un calo del PIL del 11% in due anni.
Di fronte alla crisi
Nel 2009, quando il governo volle attuare le misure di austerità richieste dal FMI in cambio di aiuti finanziari pari a 2,1 miliardi di euro, una forte mobilitazione popolare lo costrinse a dimettersi. Durante le elezioni, anticipate la sinistra conquistò la maggioranza assoluta in Parlamento.
Il nuovo governo tuttavia adottò la legge “Icesave” – dal nome della banca privata on-line andata in bancarotta di cui gli investitori privati erano in gran parte olandesi e britannici – per rimborsare i clienti stranieri.
Questa legislazione costringeva tutti gli islandesi a ripagare un debito di 3,5 miliardi di euro (40% del PIL) – 9000 euro pro capite – nell’arco di quindici anni ad un tasso del 5%.
Di fronte a nuove proteste popolari, il Presidente rifiutò di ratificare il testo parlamentare e indisse un referendum.
Nel marzo 2010, il 93% degli islandesi respinse la legge sul rimborso dei danni causati da “Icesave”. Ripresentata a un referendum nell’aprile 2011 la legge, venne nuovamente respinta in modo schiacciante 63%.
Una nuova costituzione, redatta dall’Assemblea Costituente di 25 persone elette a suffragio universale tra 522 candidati, composta da 9 capitoli e 114 articoli, venne adottata nel 2011.
Prevede un diritto di informazione, l’accesso del pubblico ai documenti ufficiali (articolo 15), la creazione di un Organismo di Vigilanza sulle responsabilità del governo (articolo 63), il diritto di consultazione diretta (articolo 65) – il 10% degli elettori può richiedere un referendum sulle leggi approvate dal Parlamento -. e la nomina del presidente del Consiglio da parte del Parlamento.
Così, a differenza delle altre nazioni dell’UE nella stessa situazione, che hanno applicato alla lettera le richieste del Fondo monetario internazionale, che esigeva l’attuazione di severe misure di austerità, come in Grecia, Irlanda, Italia o Spagna, l’Islanda scelse una via alternativa. Quando nel 2008, le tre banche principali, Glitnir, Kaupthing e Landsbankinn fallirono, lo stato islandese rifiutò di iniettare fondi pubblici, come nel resto d’Europa. Invece, procedette alla loro nazionalizzazione.
Allo stesso modo, le banche private sono state costrette a cancellare tutti i debiti a tassi variabili superiori al 110% del valore della proprietà, evitando così crisi dei subprime come negli Stati Uniti. Inoltre, la Corte Suprema dichiarò illegali tutti i prestiti indicizzati a valute estere concessi a persone fisiche, costringendo le banche a rinunciare ai propri crediti, per il beneficio della popolazione.
I responsabili del disastro – i banchieri speculatori che causarono il crollo del sistema finanziario islandese – non hanno beneficiato della clemenza popolare come invece nel resto d’Europa, dove sono stati regolarmente assolti. In realtà, vennero processati e incarcerati da Olafur Thor Hauksson, Procuratore speciale nominato dal Parlamento.
Anche il primo ministro Geir Haarde, accusato di negligenza nella gestione della crisi, non evitò un processo.
Un’alternativa alla austerità
I risultati della politica islandese economica e sociale sono stati spettacolari.
Mentre l’Unione europea è in una fase di recessione, l’Islanda ha avuto un tasso di crescita del 2,1% nel 2011 e si prevede un tasso del 2,7% per il 2012, e un tasso di disoccupazione che oscilla intorno al 6%.
Il paese si è anche offerto di rimborsare anticipatamente i suoi debiti al FMI.
Il presidente islandese Olafur Grimsson ha spiegato questo miracolo economico:
“La differenza è che in Islanda abbiamo lasciato fallire le banche. Erano istituzioni private.
Non abbiamo iniettato denaro per tenerle a galla.
Lo Stato non si è assunto questa responsabilità “.
Contro ogni previsione, il Fondo monetario internazionale ha accolto con favore la politica del governo islandese – che ha applicato misure agli antipodi di quelle che esso sostiene – il che ha permesso di preservare “il prezioso modello nordico della protezione sociale”. In effetti l’Islanda ha un indice di sviluppo umano molto alto.
“Il FMI dichiara che il piano di salvataggio islandese offre lezioni per i tempi di crisi.” L’organizzazione ha aggiunto che “il fatto che l’Islanda sia riuscita a conservare il benessere sociale delle famiglie e ottenere un importante consolidamento fiscale è uno dei più grandi successi del programma del governo islandese.” Il FMI ha omesso di dire che questi risultati sono stati possibili solo perché l’Islanda ha rifiutato la sua terapia di shock neoliberista, attuando invece un piano di recupero efficace e alternativo.
Il caso dell’Islanda dimostra che vi è un’alternativa credibile alle politiche di austerità attuate in tutta Europa. Queste, oltre ad essere economicamente inefficienti, sono politicamente costose e socialmente insostenibili. Con la scelta di mettere l’interesse pubblico al di sopra di quello del mercato, l’Islanda mostra la via al resto del continente per uscire dalla crisi.
da: L’ISLANDA E IL RIFIUTO DELL’ AUSTERITA’

lunedì 7 gennaio 2013

Ma quale progresso?


Questa fotografia e il commento girano da tempo su Facebbok e periodicamente mi ricapita d'incontrarli. Ora li voglio fermare in queste pagine:



Mentre giornali e talk show in tv trattano della vita di celebrità, il capo della tribù Kayapo ha ricevuto la notizia peggiore della sua vita:
Dilma, il nuovo presidente del Brasile, ha dato l'approvazione per costruire un grande impianto idroelettrico (il terzo più grande del mondo ) e di conseguenza ha condannato a morte tutte le persone che vivono vicino al fiume perché... la diga sommergerà 400.000 ettari di foresta.
Più 40.000 indiani dovranno trovare un altro posto dove vivere. La distruzione degli habitat naturali, la deforestazione e la scomparsa di molte specie è un dato di fatto.
Ciò che mi muove nelle viscere, ...e che mi fa vergognare di far parte della cultura occidentale, è la reazione del capo della comunità Kayapo quando ha saputo della decisione, il suo gesto di dignità e di impotenza di fronte all'avanzata del progresso capitalista, moderno predatore di civiltà e che non rispetta le differenze. . .

Ma sappiamo che una immagine vale mille parole, mostrando la realtà del prezzo reale della nostra borghese "qualità della vita".
 

domenica 6 gennaio 2013

Vamos a votar, companeros! - Riflessioni di Marcello Difinizio e Antonella Nicosia

Come avrai certamente capito io non sono un uomo politico e, francamente, non ambisco neppure ad esserlo.
Sono solo un cittadino come tanti: stanco, esasperato, disgustato da tutto questo
ciarpame politico che ha affossato la mia vita e anche la speranza di una vita serena, la mia e quella di milioni i italiani come me.
Ciò premesso, ti posso solo dire che anch'io sono molto confuso sulla scelta di quelli che dovrebbero essere i prossimi inquilini di Palazzo Chigi.
Ma nella vita, come tu certamente saprai, spesso si va avanti per tentativi, e da questi tentativi si attingono sempre delle esperienze e degli insegnamenti (positivi o negativi) che portano però, a delle conclusioni, e di conseguenza a delle scelte per esclusione.
Perciò, al momento posso solo dirti che di certo non voterò questa gente, ciò che sono stati capaci di fare lo abbiamo già visto, e questo, a me personalmente, basta e avanza.
Credo che a questo punto non ci rimanga altro che Grillo o Ingroia, che di sicuro non saranno la panacea di tutti i mali, o la soluzione di tutti i nostri problemi, ma di sicuro questi non li abbiamo ancora visti, mentre degli altri ci stiamo portando le ferite addosso, e sono ferite gravissime, ferite profonde. ferite ancora aperte e sanguinanti che non si cancellano con quattro parole di ammissione dei propri errori, errori che non possono essere perdonati e ancora meno premiati rivotandoli per vedere se adesso si comporteranno bene (se uno mi spara addosso e riesco a disarmarlo e rimanere ancora vivo di certo no gli riconsegno la pistola per vedere se continuerà a spararmi oppure no).
Comunque, è altrettanto sicuro che Grillo o Ingroia, peggio di quello che hanno fatto i loro predecessori sarà difficile che riescano a fare, e francamente (e magari mi sbaglio, Dio non voglia) mi sembrano davvero delle persone oneste e in buona fede, e questo mi sembra già tanto, anzi, moltissimo, è IMPORTANTISSIMO. Se riuscissero solamente a far rispettare la costituzione e magari farci uscire da questa Europa delle multinazionali e della loro finta economia avrebbero già risolto l'80% dei nostri problemi.
Più di questo non so cosa dirti.


                                                                                             Marcello.Difinizio


"Errare humanum est"
di Antonella Nicosia

La locuzione latina errare humanum est, perseverare autem diabolicum, tradotta letteralmente, significa "commettere errori è umano, ma perseverare (nell'errore) è diabolico".
La frase è entrata nel linguaggio comune, come aforisma con il quale si cerca d'attenuare una colpa, un errore, purché sporadico e non ripetuto.
Sostanzialmente essa si rifà (anche se non letteralmente) ad un'espressione di sant'Agostino, anche se esistono diversi antecedenti in latino precristiano.
La prima fonte cristiana che contenga una frase analoga è San Gerolamo ("errasse humanum est", Epist. 57.12).
In seguito, sant'Agostino d'Ippona nei suoi Sermones (164, 14) afferma: Humanum fuit errare, diabolicum est per animositatem in errore manere ("cadere nell'errore è stato proprio dell'uomo, ma è diabolico insistere nell'errore per superbia").
Il significato è chiaro: l'errare è parte della natura umana.
Questo, però, non può essere un'attenuante per reiterare uno sbaglio, quanto piuttosto un mezzo per imparare dall'esperienza.
Ecco... imparare dall'esperienza, sintetizzo così il pensiero di Marcello.
Perché non ha senso continuare a lamentarsi, a puntare il dito e non adoperarsi affinchè ciò che non ci piace venga modificato, cambiato, sostituito.
Chi mi conosce da più tempo, si stupirà nel vedermi schierata, anni fa pensavo al mio orticello, a farlo crescere bene.
Le sofferenze altrui mi procuravano dolore (ancora oggi) ma mi difendevo, tronfia (inconsapevolmente) della consapevolezza che quello che avevo me lo ero fatta da me e che gli altri...si diano da fare!
A distanza di anni da queste mie (strampalate) posizioni, la vita mi ha insegnato diverse "cosuccie".
Con la violenza ottieni violenza, con l'egoismo ottieni egoismo, e potrei proseguire citando la saggezza popolare.
Tutto questo per spiegarvi il mio nuovo atteggiamento nei confronti della vita, che amo e che mi ha convinta a viverla positivamente, nonostante i problemi (che non chiamo più problemi, ma opportunità).
Ecco...ora noi viviamo un momento carico di opportunità e allacciandomi al pensiero di Marcello, che condivido in linea di massima, vi invito a riflettere pensando in grande, perché grande è l'opportunità che abbiamo a disposizione potendo andare ad esprimere il nostro voto.
Voto che dobbiamo ponderare, consapevoli che non esiste la bacchetta magica per farci uscire da questa selva oscura, non basta più andare a destra o a sinistra, alternando le scelte con un semplice atteggiamento fatalistico.
Abbiamo la capacità e gli strumenti per battere nuovi sentieri e non aver paura di perdersi!
Buona bussola a Tutti*


giovedì 3 gennaio 2013

Perchè non Monti?



Perché non Monti? Non è la proposta indecente fatta da un automobilista che ha appena accostato al marciapiede.

Vorrei che Monti mi spiegasse perché tutti i buoni propositi che sta promettendo ora in vista delle elezioni, non li ha messi in atto nel 2012.
Ha aumentato l'IVA con effetti disastrosi, le spese pro capite sono drasticamente diminuite e di conseguenza anche il gettito IVA, dove sta la convenienza?
E’ un sistema buono per rilanciare l'economia? Si sono accaniti sulle seconde case (sulla prima si paga pochissimo) con l'IMU, (personalmente mi hanno prelevato 1455 euro, sottraendoli ad altri acquisti) mettendo in crisi un mercato quello immobiliare che già stava dando segni di sofferenza, bel colpo che ha fatto, -43% le richieste di mutui nel 2012, crollo dei prezzi (e qui ci stiamo perchè era una bolla enorme che prima poi...) quasi ferme le compravendite e quindi altra IVA in meno che entra nelle casse dello Stato.
Lasciamelo dire Fulvio, mi sa che questi o non capiscono nulla oppure capiscono troppo bene! Non posso credere che un economista non ci arrivi, volevano far cassa e ci sono riusciti, ora pure la patrimoniale ma mica sui proventi e no, meglio sui risparmi della gente, soldi sicuri!
Voglio sentir parlare di una politica per lo sviluppo, detassazione alle imprese ed ai dipendenti, sanità, sicurezza, istruzione, lotta all'evasione fiscale ma non solo sui piccoli che sopravvivono, devono beccare i grossi che fanno sparire i soldi nei paradisi fiscali.
Dove son finite tutte ste voci? E poi basta sostegno alla FIAT che per altro sta facendo macchine di improponibili, Della Valle è stato carino con Marchionne, gli ha detto solo “le tue macchine non sono belle”, io gli avrei detto che fanno schifo!
Non hanno sul mercato un'ammiraglia che si possa definire tale, non sono capaci di produrla e per questa loro incapacità dobbiamo pagare tutti noi?
Oggi va bene? ok mettiti via i soldi per quando va male, questi invece i soldi li prendono sempre!
Alfa Romeo Giulietta è il massimo che riescono a produrre, si vuole contrastare il mercato tedesco in questo modo? O con l'ammiraglia della Lancia, quello scatolone importato dall'America?
Tornando alla politica mi sarebbe piaciuto Renzi anche se devo dire che ha una lingua... però almeno con lui si presentava una faccia nuova e voglia di buttar un pò di robe per aria, prima che ci pensino gli italiani, secondo me perché accada non manca molto!

Quì c'è sotto qualcosa!


Ora siamo sicuri dietro a questo telo c'è una caa in ristrutturazione!
Non fosse stata riprodotta sul telo la facciata si sarebbe potuto pensare a un covo di "anarco inurrezionalisti" o di "palombari ciclisti", poteva esserci una piantagione di droga o una casa di appuntamenti.
E invece no, adesso è chiaro, impalcatura e teli antipolvere con sopra disegnato cosa c'è che dietro a cio che non si vede ci tranquilizza.
Non so se sia ancora in vigore la legge "tipicamente italiana" che imponeva questo inutile sperpero di denaro per chi voleva ristrutturare, ma evidentemente pare di si.
Mi viene in mente una mia vecchia provocazione dove affermavo ch per creare occupazione sarebbe stato necessario assumere delle persone che gettassero cartacce sul marciapiede per assumerne altrettanti che le andassero a raccogliere.
Certo che "l'economia gira con te", ma di fronte a certe stupide imposizioni potrebbe a non essere solo l'economia a girare.

mercoledì 2 gennaio 2013

A proposito di ferriera.

A PROPOSITO DI FERRIERA DI SERVOLA ECCO QUI UNA LETTERA PUBBLICATA SUL "PICCOLO" DI OGGI.
Luigi Pastore
Ferriera 2012. Lettera aperta di un lavoratore-sindacalista. (pubblicata oggi sul piccolo 28.12.2012

Se non ci fosse stata la notizia-choc comparsa sul nostro quotidiano locale venerdì 21 dicembre, forse questa lettera non l’avrei scritta , sarebbe rimasta argomento di intime chiacchiere familiari , per distogliere i pensieri da argomenti più opprimenti ed inquietanti che in questo momento attanagliano me e i miei cari, determinati da una chemioterapia fisicamente gravosa per la mia persona, estremamente costosa per la collettività ed il cui risultato sarà una serie di punti interrogativi lunga 5 anni . “Riflettiamoci”.
Secondo la tradizione l’avrei idealmente indirizzate a Gesù Bambino, ma non lo farò perché il mio pudore di adulto mi impedisce di abusare dei luoghi comuni in una lettera aperta a tutti coloro che gradiranno leggerla.
Dopo la lettura dell’articolo in questione il mio pensiero è ritornato alla mia infanzia, nella mia città natale del sud, dove, a Natale, il sole , come i vecchi contadini , si alza e si corica presto; è ritornato alle lezioni di catechismo, in cui si narrava di Gesù , di miracoli, di incontri e di personaggi.
Ecco, solo leggendo e rileggendo i commenti all’ articolo ho finalmente avuto la chiara visione di personaggi come Ponzio Pilato , i Farisei , i Sepolcri Imbiancati, di cui da piccolo non riuscivo a determinare i contorni.
In una letterina di fine anno però alcuni desideri vorrei esprimerli.
Desidererei innanzitutto che a me, e similmente a tanti altri come me, ci fosse restituito ciò che qualcuno con qualcosa ci ha tolto: la salute, persa, pensavo forse, ma ora non più, con un lavoro che se anche ci ha dato dignità, ha richiesto tanto, forse troppo, in cambio.
Desidererei che , in futuro, tutti prendessero coscienza che non ci può essere contrapposizione tra il diritto alla salute e quello al lavoro , qualunque sia il costo economico per conciliarli.
Desidererei ardentemente che, alla luce di quell’articolo-choc, quei miei colleghi che, taluni in buona fede ma talaltri in mala fede, forse pilotata, hanno travisato il mio deciso e coerente impegno da sindacalista per ottenimento di migliori condizioni lavorative, sia per quanto riguarda la sicurezza sia, e soprattutto, per la salute, nell’ambito della Ferriera di Trieste, comprendessero ora meglio il mio operato.
Desidererei che anche in Ferriera si sviluppasse la coscienza di “operai liberi e pensanti”, affinché essi non siano più talvolta involontari e spauriti complici di eventuali manchevolezze padronali in tema di sicurezza e salute, bensì stimolino ed esigano tutela da parte delle strutture sindacali preposte, della Proprietà e delle Istituzioni .
Desidererei che non venissero creati “ponti d’oro” per agevolare la fuga dei veri responsabili di tutto ciò e che coloro che da tempo sapevano ed hanno taciuto, coprendo i responsabili, fossero chiamati dalla Giustizia terrena a rispondere della loro negligenza o, ancor peggio, eventuale connivenza.
Desidererei che un Qualcuno, più in alto e più intelligente dei nostri politici, li illuminasse affinché non venga mai più imposto a lavoratori e cittadini, ancorché col crisma di una legge, il dovere di accettare l’eventualità di ammalarsi e morire di siderurgia in nome del Prodotto Interno Lordo e per gli interessi di pochi e già arricchiti padroni.
Desidererei anche ringraziare la Magistratura per il suo lavoro che qui, come a Taranto, ha fatto emergere queste verità, in una sconfortante solitudine istituzionale , con l’auspicio , però, che l’opera intrapresa non si arresti davanti ai “poteri forti” che hanno gestito lo stabilimento dopo il 1994 e che la verità storica emerga pienamente, poiché di siderurgia , purtroppo, ci si continua ad ammalare e forse morire.
Desidererei ancora che , pur nelle ben note difficoltà, la Ferriera proseguisse la sua attività, però nel completo rispetto delle normative su sicurezza e ambiente ed attentamente vigilata dalle Istituzioni preposte.
Desideri inespressi ne avrei ancora tanti ma sarebbero ben poca cosa in confronto a quelli già espressi.

"
Desidererei ancora che , pur nelle ben note difficoltà, la Ferriera proseguisse la sua attività, però nel completo rispetto delle normative su sicurezza e ambiente ed attentamente vigilata dalle Istituzioni preposte."
Si legge questa frase sul finale della lettera.
Indirettamente si dichiara che lo stabilimento può ancora produrre, se nel rispetto delle regole.
Appare sottointeso che tanti problemi non sarebbero insorti nemmeno in passato se fossero state rispettate le regole.
Ma chi e perchè non lo ha preteso?
Sempre più frequentemente si è avuta negli ultimi decenni la sensazione che il lavoro non sia più un diritto, ma sia diventata una concessione di chi "ha il coltello dalla parte del manico".
Si sono viste stracciare tutte le regole dei lavoratori davanti alla "distratta presenza" dei sindacati mentre gli organi preposti hanno indossato gli occhiali che si usano per vedere le eclissi di sole.
Continuo a dire che l'economia triestina non è in grado di assorbire il contraccolpo della perdita di un migliaio di posti di lavoro, si pensi a questo se non si ritiene "moderno" occuparsi del dramma di tutte le famiglie coinvolte.
Vengano finalmente messe in atto tutte quelle misure per ridurre l'inqinamento dell'intera area di Servola - Valmaura - Ponziana anche attraverso una drastica riduzione del traffico veicolare e una cosciente e responsabile parzializzazione degli impianti di riscaldamento.

Sarebbe tempo che si iniziasse a pensare alla grande, provando a immaginare di essere una comunità!

                                                                                    Fulvio Covalero

martedì 1 gennaio 2013

Villa De Rin

 
30 dicembre 10.37.40
L’ attuale azienda agricola Tomsich e la vecchia azienda Agricola De Rin

Premetto che non sono d'accordo su alcuni passaggi di questo racconto.
Con questo non voglio dire che non si racconti il vero ma semplicemente che io sentito su certi fatti una versione diversa che nei prossimi giorni cercherò di pubblicare.

Nella fotografia la villa De Rin, a monte della Strada Nuova per Opicina, vicino alle “Beatitudini”.
Qui - grazie ad un comune amico che me l’ ha segnalata - racconto la storia di un’ azienda agricola triestina che ha - per così dire - scavalcato cinquecento anni di storia.
La storia inizia nel Cinquecento: Trieste ha appena subito nel 1508 l’ ultima occupazione veneziana. Una occupazione di breve durata perchè già l’anno seguente la Repubblica Veneta, sconfitta dall’ Imperatore d’ Austria, fu costretta a ritirare le sue forze dal confine orientale abbandonando tutte le conquiste fatte da Trieste a Fiume, da Gorizia a Postumia. Nel decennio tra il 1510 ed il 1520 anche i Turchi scorrazzarono in Istria e nei dintorni di Trieste distruggendo e devastando Rozzo, Semi, Draguccio, Colmo, Castelnuovo d’ Istria, Mune, Obrovo, Matteria, Racia, Bergozza, Moncalvo e Varmo e minacciarono più volte anche la stessa città di Trieste. I triestini però si difesero molto bene ed in uno di questi combattimenti contro i Veneziani riuscirono addirittura ad impossessarsi per l’ ennesima volta del Castello di San Sergio (vedi il post relativo – n.d.a.) e tentarono di recuperare le fortificazioni di Ospo ed espugnare la torre di Pupecchio. In questo periodo terribile attorno all’ anno 1520 aggravato anche dalle epidemie di colera, alcune famiglie di triestini decisero di rifugiarsi sui pendii del costone carsico triestino sopra il borgo di San Giovanni che allora si chiamava Guardella o Vardella, cioè vedetta. Là trovarono una situazione di riparo contro gli invasori ed acqua risorgiva che gli preservava dal terribile imperversante colera e vi costruirono un insediamento. I coloni cominciarono a coltivare tutto il territorio che si espande dall’ attuale cava Facanoni ai pendii del Monte Radio, impiantando viti, cereali, frutta e verdure varie che poi portavano nella vicina città e la mercanteggiavano con le masserizie a loro necessarie. Poi già alla fine del Seicento molti nobili triestini, tra cui i De Marchesetti, acquistarono le proprietà dai coloni e ne fecero una delle loro residenze. La proprietà dei Marchesetti constava di un vasto vigneto il quale venne denominato in seguito con il nome di “Marchesettia”. Esso si estendeva nella zona a monte della Strada Nuova per Opicina dopo la curva Faccanoni fin sopra le cave di arenaria. Con tale nome venne intestata in data 22 aprile 1807 la particella tavolate 234 di Guardiella.
La proprietà passò poi a Vittorio De Rin, essendosi questi sposato con Anna Bartolomei, vedova di Lorenzo Marchesetti. Il De Rin, membro del consiglio comunale, si fece costruire, sopra le strutture delle vecchie case coloniche, con le stesse pietre di arenaria estratte sul posto, una villa sul ciglio della cava che si apre vicino all’ odierna casa per esercizi spirituali “Le Beatitudini”. La villa fu eretta nel 1854 dall’ architetto Domenico Righetti. Il De Rin rilasciò al suo architetto la seguente compiaciuta attestazione: "[…] dichiaro che il Signor Domenico Righetti sia stato l’ inventore e il direttore della mia casa in stile gotico nella mia campagna sita nella contrada odierna di Guardiella, denominata Marchesettia, la quale opera è ricerca di pieno aggradimento, nonchè di ammirazione di quanti intelligenti onorano di loro visita […] 4 novembre 1854". La villa era infatti da ammirare per le sue splendide finestre gotiche ad occhio, i suoi vetri colorati e legati al piombo, i pinnacoli retti e la torretta al centro. All’ interno vi era un salone al primo piano con un caminetto in marmo rosa soffitto a cassettoni ed affreschi di Lorenzo Giuseppe Gatteri. Dopo il 1880 la villa divenne proprietà di Bartolomeo e Paride De Rin, figli di Nicolò, avvocato di Capodistria. Gli eredi De Rin, traslocati in città, non ebbero più la possibilità di mantenere la villa nel suo decoro e la abbandonarono col tempo in uno stato di crescente degrado. Dopo l’ armistizio del settembre 1943 la villa, abbandonata del tutto dai proprietari, venne requisita dai tedeschi che vi stabilirono una importante postazione militare con una dotazione di artiglieria con la quale controllavano dai quattro lati la sottostante città ed il cielo dagli attacchi aerei degli alleati. Nel 1944 i partigiani attaccarono la postazione provocando un incendio che distrusse l’ ala destra ed il salone delle feste dello stabile. Nel 1945 la villa venne occupata da prima dagli jugoslavi che, durante i “quaranta giorni” della loro permanenza a Trieste, vi stabilirono il loro comando, poi dagli inglesi che succedettero nella gestione amministrativa della città. Nel 1954, alla partenza degli alleati, l’ immobile ritornò in possesso delle sorelle eredi De Rin che, nel 1960 per lascito passarono la proprietà alla Curia Vescovile di Trieste la quale cedette la proprietà in uso ai profughi istriani. La villa, secondo il parere iniziale della Soprintendenza alle Belle Arti, non era stata ritenuta degna di essere preservata quale opera architettonica della Trieste mercantile dell’ Ottocento, con il risultato che rapidamente venne depredata di quanto era possibile asportare. Sparirono caminetti, fregi, porte, inferriate, i vetri policromi e perfino quattro stemmi in arenaria che ornavano la facciata. Nel 1975 venne trafugata anche una lapide murata nel muro perimetrale posteriore dell’ ala devastata dal fuoco. La lapide inserita nella muratura all’ epoca della costruzione della villa, ma proveniente da chi sa dove, portava la scritta: “CRISTOFOR / CHALADINO / FECIT.AN.D. / MDLXXXI”
Oggi i ruderi della Villa ottocentesca De Rin, che ancora si vedono sulla montagna al disopra della antica dismessa cava di arenaria dalla vallata di San Giovanni sono stati finalmente sottoposti alla tutela del Ministero delle Belle Arti. Negli anni Novanta la proprietà è stata rilevata dalla famiglia Tomsich che ha provveduto ad una importante opera di consolidamento delle vecchie vestigia della villa e della borgata medioevale nonchè a bonificare l’ adiacente terreno destinandolo all’ utilizzo agricolo di un tempo ripristinando in parte il vecchio vigneto Marchesetti.
Grazie al comune amico ho potuto assaggiare il vino prodotto. E’ davvero ottimo: mi ha colpito in particolare un delizioso Moscato ……. (Testo liberamente tratto dal sito dell’ Azienda Agricola Tomsich Victor).