giovedì 27 settembre 2012

Un grosso affare per i Comuni di Trieste!

In breve, la A.M.T.  è una società che ha come unici azionisti i sei Comuni della provincia di Trieste.
Le azioni sono proporzionali ai residenti di ogni Comune.
Questa Società tra qualche giorno smetterà di esistere (fine settembre pare 2012 pare) e verrà assorbita da "Esatto".
Ma prima di volatilizzarsi ha realizzato un grosso affare per conto dei "Clienti", i sei Comuni appunto.
In pratica ha indetto una gara d'appalto per la realizzazione di oltre trecento pensiline da sistemare alle fermate degli autobus della Trieste Trasporti.
Alla gara d'appalto si è presentata una unica ditta che ovviamente l'ha vinta e di conseguenza i più attenti hanno visto apparire queste nuove strutture.


Questo è uno dei modelli previsti dotati di una copertura minima (servono solo se la pioggia cade perfettamente verticale) e privi di qualsiasi riparo laterale.
Tenendo conto che poi spetta alla ditta la manutenzione gratuita di queste strutture evidentemente si è pensato che tutto quello che non c'è non si può rompere.
Questi in pratica altro non sono che cartelloni pubblicitari alle fermate dei bus.
AMT ha dato gratuitamente in uso per vent'anni il suolo pubblico  necessari per posizionare queste praticamente inutili strutture, però in cambio i Comuni incasseranno la tassa sulla pubblicità.
Un grosso affare quindi ... speriamo non faccia troppo male!

giovedì 6 settembre 2012

Tram di Opicina - vista "l'imbarcata" ....

Non ricordo nei decenni scorsi una tale frequenza di deragliamenti se non dopo l'ultima lunghissima manutenzione alla linea eseguita , se non ricordo male una decina di anni fa.
Ho dei dubbi sugli anni trascorsi, non certo sul fatto che questi "fastidi" siano iniziati immediatamente dopo.
Allora, era stata richiamata la mia attenzione dal fatto che i pali di sostegno alla linea elettrica erano stati ridipinti solo fino a una altezza di circa tre metri, sopra questa altezza erano rimasti com'erano, con la ruggine bene in evidenza, osservavo inoltre che le traversine in legno nel tratto in discesa dopo l'Obelisco verso città presentavano uno stato preoccupante di degrado, non so se le cose sono cambiate in seguito.
L'ultimo appunto alla Trieste Trasporti:
Se era programmata la sospensione del servizio tra qualche giorno è vergognoso che l'azienda non abbia avvertito per tempo i Cittadini.

Tram deragliato, arrivano gli esperti da Venezia

Ancora da accertare le cause dell’incidente, se ne occuperanno anche i tecnici dell’Ufficio speciale del ministero. Omero: servizio storico, non lo faremo morire


di Piero Rauber

Il guasto non è capitato alla ripresa del servizio dopo un lungo stop per manutenzioni, bensì alla vigilia. Uno stop di sei mesi - forse un po’ meno se il meteo sarà clemente - programmato già da tempo, a partire da lunedì, eppure non ancora annunciato. L’annuncio era in agenda in questi giorni, ma il gravissimo imprevisto sta costringendo Trieste Trasporti e Comune a rivedere in corsa le proprie strategie di comunicazione.
Colpisce dunque al contrario, stavolta, la maledizione del tram di Opicina, deragliato domenica sera (senza conseguenze per il “frenador” e per l’unico passeggero) poco sotto l’Obelisco per cause tuttora in corso di valutazione da parte dei tecnici della Trieste Trasporti.
La vettura 404, complici le operazioni di recupero logisticamente non comode, è rientrata nel deposito della stazione di Opicina appena alle 20.30 di lunedì, 24 ore dopo l’incidente, come ha informato ieri Andrea Cervia, il neodirettore d’esercizio della Trieste Trasporti, senza sbilanciarsi: «Non sono in grado di dire nulla, al momento, avanzassi un’ipotesi oggi potrei smentirmi domani».

La caccia alla causa, prima di produrre una risposta - mette le mani avanti il direttore generale della Spa dei trasporti Pier Giorgio Luccarini - si protrarrà come minimo per ulteriori 48 ore. Anzi.
Per aiutare a vederci chiaro, stamani arriveranno non solo i delegati della Regione (ovvero l’ente che arma di soldi la Provincia per pagare proprio alla Trieste Trasporti il contratto di servizio del Tpl) ma anche gli esperti dell’Ustif di Venezia, l’Ufficio speciale trasporti a impianti fissi, braccio ministeriale per il Triveneto. «Sabotaggio? Oddio, non si può escludere nulla, ma mi pare improbabile, più che improbabile», sospira Luccarini.
Che rilancia: «Il tram è una vecchia signora, pretende attenzioni.
Nonostante tutto, la sicurezza non è mai venuta meno».

A far da contraltare all’incertezza sulle cause, è la promessa senza indugi dispensata da Fabio Omero, l’assessore al tram, per così dire, in quanto delegato di Cosolini alle società partecipate qual è appunto Trieste Trasporti. «Mi prendo in pieno l’impegno che il servizio del tram di Opicina non chiuderà mai, ha un valore storico e culturale, oltre che funzionale, visto che viene utilizzato moltissimo dalla cittadinanza, per mantenerlo cercheremo di intercettare dei fondi europei a lungo termine sulla mobilità urbana sostenibile», ha chiarito ieri Omero quando gli si chiedeva se quest’ultimo incidente sarebbe potuto diventare, chissà, magari un pretesto per fermare per sempre la trenovia, o per trasformarla in funicolare per turisti con ticket bello alto, come aveva fantasticato l’ex sindaco Dipiazza.
Un secolo e passa di vita cittadina, d’altronde, è duro a morire. Anche se spilla soldi in continuazione. Proprio domenica prossima, il 10 settembre, il tram compie 110 anni dal giorno della sua prima corsa. «No - ammette ancora Omero - non avevamo in agenda celebrazioni, volevamo farle in occasione del successivo 111.mo anniversario.
Non ci pareva il caso far festa e il giorno dopo chiudere la linea per sei mesi». Già, avete capito bene. Lunedì 11 settembre, infatti, il tram si sarebbe comunque fermato per delle lunghe ma doverose, per legge, revisioni infrastrutturali. «Avremmo spiegato tutto - aggiunge Luccarini - in una conferenza stampa sabato prossimo, che faremo lo stesso. Il relativo comunicato era già pronto, l’avremmo fatto girare in questi giorni». La maledizione, insomma, colpisce ancora. Al contrario.

mercoledì 5 settembre 2012

Quando il cavallo non beve!

Andando verso Muggia, vedo un numero sterminato di edifici industriali vuoti, nuovi o in rovina.
Gli stessi investitori, anche robusti come coop nordest, non hanno volontà di portare avanti progetti di centri commerciali, in un momento in cui “il cavallo non beve”.
Allora, cosa si può fare a Trieste? Può essere l’oggetto di un brain storming, visto che le teste dei nostri amministratori, locali e

 nazionali o sovrannazionali, sono impegnate solo a salvarsi dal Titanic occupando le scialuppe invece di turare le falle (nella figura, noi siamo l’eroica orchestra che suona sul ponte...).
Partiamo da alcuni concetti.
Il privato e anche le imprese sane, hanno in questo momento una liquidità enorme che non trova sbocco in investimenti sicuri. 


Basti pensare al bilancio di Apple, che per liquidità supera quello di molti stati.
Lo sviluppo dei computer e della diffusione delle informazioni richiederà sempre di più l’uso di memorie cloud, condivise o meno, anche per lavorare a distanza e su uno stesso progetto; il fatto è che, prima dello sviluppo di un computer quantico, la necessità di memoria decollerà: se ognuno avesse a disposizione 400 giga per i dati, neanche tanti, su una quantità di utenti come l’Italia, di 20 milioni di utenti, sarebbero occorrenti 8 milioni di terabyte, ovvero 80.000 server da 100 tera, con un consumo di 800 Megawatt, più o meno l’impatto di una centrale nucleare come Krsko, e un bisogno di superfici con portata elevata e cablabili di 240.000 mq. , più o meno gli spazi che abbiamo disponibili in porto vecchio e in zona industriale...
Cos’altro è proponibile?
Attualmente gli stati produttori a basso costo di tecnologia (Corea, Cina, India) vendono attraverso il mercato, con produzioni concentrate in megafabbriche – anche lager in cina - .Un outlet locale di prodotti, come ce ne sono a decine a Hong Kong, potrebbe attirare clientela italiana ed estera, che avrebbe la garanzia di vedere e testare il prodotto prima di comprarlo.
Di converso, un’esposizione peranente di produzione di pregio made in Italy, personalizzabile, potrebbe attirare clientela estera.
gradite osservazioni e idee....

                                                                             Roberto Rosenwasser

Itinerario ... di una notizia.


Regione: soldi anche ai parenti. Tolto il divieto votato 12 anni fa

Passa la norma che consente di erogare fondi alle società e alle associazioni culturali rette da familiari dei consiglieri
di Marco Ballico
TRIESTE. Un escamotage per consentire ai consiglieri regionali di concedere contributi a coniugi e parenti fino al secondo grado. Un comma infilato nel mare magnum delle variazioni di bilancio, un colpo di spugna a un articolo di legge di 12 anni fa, un via libera per organismi culturali, di volontariato e di promozione sociale privi di finalità di lucro: la maggior parte delle associazioni, destinatarie di quelli che passano come i classici “contributi alla parrocchia”.
Il buon gusto vorrebbe che non ci fossero collegamenti di parentela troppo stretti tra chi gestisce il denaro pubblico e chi lo riceve. Non a caso, all’articolo 31 della legge regionale 7 del 20 marzo del 2000, con Roberto Antonione a capo della giunta del Friuli Venezia Giulia, il Consiglio infilò, in quello che fu allora il “Testo unico delle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso”, un divieto generale di contribuzione. Il testo era molto esplicito: fatte salve le diverse disposizioni previste da leggi di settore, «non è ammissibile la concessione di incentivi di qualsiasi tipo a fronte di rapporti giuridici instaurati, a qualunque titolo, tra società, soci, ovvero tra coniugi, parenti e affini sino al secondo grado. Tale disposizione si applica qualora i rapporti giuridici instaurati assumano rilevanza ai fini della concessione degli incentivi».
Dodici anni con il divieto in vigore. Fino all’estate 2012, quando il Consiglio Fvg, al suo ultimo assestamento di bilancio prima delle elezioni di rinnovo dell’assemblea, decide che quel divieto non vale più. Non almeno per alcuni beneficiari. All’articolo 12, comma 4, della legge 14 spunta il cancellino. In via di interpretazione autentica dell’articolo 31 della 7 del 2000, si legge, «tra gli organismi indicati non sono ricompresi quelli culturali, di volontariato e di promozione sociale privi di finalità di lucro».
A pensar male ci si azzecca, diceva Giulio Andreotti. Fatto sta che la Regione, diversamente da quanto accade nel resto d’Italia dove assessori regionali, provinciali e comunali non possono beneficiare i parenti, ha deciso di privilegiare alcuni settori della società per consentire al Palazzo di liberarsi da un potenziale conflitto di interessi. D’ora in avanti, e ovviamente sin dalla prossima Finanziaria, l’ultima del Tondo bis, sarà possibile alla giunta sostenere società che abbiamo legami stretti, fino al rapporto coniugale, con qualche assessore.
Ma non basta. Nella stessa manovra estiva, al comma 110 dell’articolo 9, il Consiglio ha stabilito che «le associazioni di promozione sociale, le associazioni di volontariato, le associazioni senza fini di lucro, le organizzazioni non lucrative di utilità sociale, beneficiarie di contributi regionali concessi dalla direzione centrale Salute, integrazione sociosanitaria e politiche sociali, per il sostegno dell’attività istituzionale, presentano esclusivamente la rendicontazione ai sensi dell’articolo 43 della legge regionale 7/2000», vale a dire solo l'elenco della documentazione giustificativa, da sottoporre a verifica contabile a campione. Una seconda norma discriminante che agevola solo alcune categorie e individua un’unica specifica direzione regionale.

  • NON XE PIU' TOLLERABILE TUTTO QUESTO
    circa un'ora fa · 

  • Fulvio Covalero Sto scrivendo ai diversi consiglieri, voglio i nomi di chi ha dato voto favorevole a questo insulto all'intelligenza dei Cittadini!

  • Fulvio Covalero Ho inviato finora messaggi a Piero Camber, Edoardo Sasco e Sergio Lupieri

  • Fulvio Covalero Piero Tononi



    Ricevo da Piero Camber e pubblico:

    E' una bufala l'articolo!!! Le leggi vanno lette e capite.
    La norma è la seguente:
    TESTO COORDINATO

    Legge regionale 20 marzo 2000, n. 7

    Testo unico delle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso.

    Art. 31 

    (Divieto generale di contribuzione)

    1. Non e' ammissibile la concessione di incentivi di qualsiasi tipo a fronte di rapporti giuridici instaurati, a qualunque titolo, tra societa', persone giuridiche, amministratori, soci, ovvero tra coniugi, parenti e affini sino al secondo grado. Tale disposizione si applica qualora i rapporti giuridici instaurati assumano rilevanza ai fini della concessione degli incentivi.

    2. Sono fatte salve le diverse disposizioni previste da leggi di settore.

    TESTO COORDINATO

    Legge regionale 25 luglio 2012, n. 14

    Assestamento del bilancio 2012 e del bilancio pluriennale per gli anni 2012-2014 ai sensi dell'articolo 34 della legge regionale 21/2007.

    Art. 12 

    (Finalita' 11 - funzionamento della Regione)

    4. In via di interpretazione autentica dell' articolo 31 della legge regionale 20 marzo 2000 n. 7 (Testo unico delle norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso) tra gli organismi indicati non sono ricompresi quelli culturali, di volontariato e di promozione sociale privi di finalita' di lucro.

    Cosa vuol dire? Che se il Presidente di una onlus ha la moglie che nella onlus fa l'autista, prima non la poteva "retribuire" in alcun modo. Ora potrà. La norma è per i parenti degli amministratori, ma non quelli politici: quelli delle società!

    Spero di essere stato chiaro



      • Perfetto! Ributto questa tua risposta nella mischia e vediamo cosa ne esce.
        Grazie comunque.
    • 28 minuti fa
      Piero Camber
      • L'emendamento venne preparato dagli uffici e passò direttamente in commissione all'unanimità
        credo che già domani ci sarà una smentita/precisazione...
    • 27 minuti fa
      Fulvio Covalero
      • E' importante che ci sia, sono notizie che messe così fanno incazzare.
    • 24 minuti fa
      Piero Camber
      • Giustamente notizie simili fanno .............! Stamani quando l'ho letto, ho subito fatto tirar fuori la legge, pensando che gli uffici ce la avessero "cazzata". Per fortuna non è così
        Mi fa piacere che tu abbia ripreso il mio commento: è sempre così difficile far conoscere la verità o, in generale, potersi confrontare in maniera corretta
    • 18 minuti fa
      Fulvio Covalero
      • Mi sento al servizio dei Cittadini.
    • 15 minuti fa
      Piero Camber
      • per dirla alla latina... idem, eadem, idem smile

lunedì 3 settembre 2012

La cricca - Paolo Rumiz


                                                   Una cricca spolpa Trieste. E noi assistiamo.

E così, quasi per caso, abbiamo avuto la prova definitiva che anche a Trieste esiste una cricca.
Una macchina di potere che è stata capace di affossare l’occasione miliardaria dell’Expo  su cui la città avrebbe potuto giocare tutte le sue carte.
Una banda pronta a tutto, pur di impedire che altri mangino la torta.
Anche a lavorare con lettere anonime e la denigrazione contro chi si oppone a questo monopolio soffocante.
Ora è chiaro: non è l’ideologia ma questo potere quasi scientifico di interdizione a questa bulimia di onnipotenza a lacerare il centrodestra alla vigilia delle elezioni.
Ricordo a tutti che dell’esistenza di una “cupola” a Trieste ha parlato prima Claudio Boniciolli, quand’era presidente dell’Autorità portuale e poi Roberto Dipiazza da Sindaco.
E’ questa macchina ramificata di connivenze, capace anche di trasversalità con il centrosinistra, che vogliamo provocatoriamente chiamare “mafia”, che accelera la nostra decadenza nonostante Dio ci abbia messo in una delle condizioni più favorevoli del Mediterraneo per crescere e prosperare.
In qualsiasi altro luogo, gente simile sarebbe cacciata con ignominia e costretta a pagare i danni.
Qui li abbiamo lasciati crescere, li abbiamo votati e ora sono dappertutto. Come la gramigna.
In porto, in Comune, in Parlamento, in Regione e nelle sue aziende partecipate, all’Acegas, nelle Coop, alla Camera di Commercio, alla Fondazione Crt e in una infinità di organi collaterali.
Spolpano la cosa pubblica, ingrassano se stessi e bloccano chi non si genuflette.
Ora l’omertà si sta rompendo, ma non per senso civico, non perché Trieste, la città cara al cuore, ha rialzato la testa.
Si rompe come a Roma, o come in Calabria, per giochi di potere, perché qualcuno tra gli ammessi al banchetto è rimasto deluso dalle elargizioni del Sultano.
Gli altri hanno taciuto, per un ventennio, come se il futuro della città non importasse.
E noi? Abbiamo vissuto la città in bermuda e infradito, come turisti, come se non fosse nostra ma un luogo di vacanza altrui.
Come se non sapessimo che i nostri figli per trovare lavoro debbano andare lontano o strisciare come vermi davanti a questa banda dispensatrice di briciole e detentrice di un potere ereditario.
Dovremmo farci un po’ di domande, nel tempo che ci separa dal voto.
Dov’è finito il nostro senso civico, il nostro senso di appartenenza a questa terra di frontiera che ha partorito capitani di mare e grandi costruttori di motori?
Dove sono finiti la memoria e l’esempio dei tanti triestini che hanno lasciato alla collettività il loro personale patrimonio con mirabile senso civico e del bene comune?
Ho paura di rispondere a queste domande perché misurerei l’abisso che mi separa dal passato.
Come abbiamo potuto?
Perché abbiamo tollerato che il porto tornasse nelle mani di chi finora ne aveva fatto un luogo di monopoli e favoritismi?
Dov’è finita la nostra memoria delle bianche navi?
Perché non abbiamo saputo esigere un professionista serio, magari anche straniero al timone dell’azienda più strategica del Nord Adriatico?
Perché non chiediamo alla Camera di Commercio contezza delle sue iniziative, sui contributi che infligge alle categorie del terziario, sui risultati delle sue decine di inutili missioni all’estero?
Perché il suo presidente ipotizza un milione d presenze l’anno al “suo” improbabile Parco del mare e accredita però previsioni per un futuro miserabile da 70 mila abitanti per la “nostra” città?
Perché nessuno chiede il conto per l’efficienza della gestione dell’Acegas o mette il naso in quell’altro santuario discutibilmente gestito che sono le Cooperative operaie, caposaldo inesplorato dell’immobilismo locale ?
Perché li abbiamo lasciati fare?
Il nostro disinteresse trova un riscontro perfetto anche nel volto fisico di Trieste.
Le sta scolpita addosso.
Perché non reagiamo davanti all’espianto delle venerabili pietre in “masegno” e la loro sostituzione con parallelepipedi color topo dove gli escrementi si spalmano così bene da creare un diffuso effetto pisciatoio?
Perché abbiamo tollerato l’imbroglio che ha creato un quartiere morto tra Cavana e San Giusto, un labirinto di fantasmi dove l’anima, come le vecchie pietre (rubate sotto il naso di tutti), è volata via da tempo?
“I ne porta via tuto” sento lamentare.
Sbagliato: la frase giusta è: “se lasemo portar via tuto”.
Se così non fosse non avremmo accettato senza rivoltarci che la memoria marinara di Trieste fosse insultata con la trasformazione della pescheria, uno dei più begli edifici  del Mediterraneo, in uno spazio vuoto di eventi e idee , quando potrebbe essere il luogo dell’identità, lo spazio dove mostrare ai “foresti”ciò che siamo stati nei giorni grandi.
Ed ecco  altre domande.
Perché consentiamo che il sentierone pedonale delle notti triestine diventi luogo di sballo, urla, pessima musica apolide a volumi insopportabili, mentre ai nostri musicanti di strada, dalle emissioni estremamente inferiori in termini di decibel, sono costretti alla fame e umiliati nella triestinità di cui sono portatori.
 Perché non reagiamo quando a pochi passi dalla questura e dalla centrale dei vigili urbani fuori, da locali discutibili, il ghetto che fu degli ebrei, doloroso luogo della memoria, nelle ore notturne diventa spazio di canti sguaiati, ubriacature, piscio e vetri rotti, senza che nessuno venga a imporre il decoro?
A cosa serve tutto quello show di manganelli e pistole, se non sappiamo nemmeno imporre la decenza?
Perché consentiamo che Trieste, la città che è porto e il cui destino è tutt’uno col mare, si ritrova snobbata da una regione di un milione di abitanti, dopo essere stata entro strategico e spazio internazionale di investimenti per un impero di cinquanta milioni di anime?
Perché non ci solleviamo contro un palazzo che taglia fondi alla logistica portuale, pur ricevendo annualmente trecento milioni di euro in termini di tasse?
E perché siamo stati a guardare il declassamento voluto, anzi pervicacemente propiziato, del ruolo di città simbolo del ponte tra Centro Europa e Mediterraneo?
Perché abbiamo taciuto di fronte alla fuga di Trieste dagli eventi che contano e la sua sostituzione con Udine, Pordenone, Cividale, Gorizia e persino Monfalcone?
Perché i gloriosi teatri locali sono sempre nelle stesse mani senza ombra di rinnovamento?
Stiamo uscendo dalla carta geografica, perché così piace alla cricca.
Settantamila abitanti, è questo il nostro destino.
La mappa dell’Adriatico parla già chiaro.
Non abbiamo più traghetti.
E’ rimasto solo Durazzo, Albania.
Niente per Patrasso, Pola, Venezia e Spalato.
Il mare non è più nostro.
E’ diventato “cosa loro”.
Par di sentire il rumore dei catenacci che lo sprangano.
Povera mia città dell’anima, di tante partenze e di tanti ritorni.
Non credo ti meriti tutto questo.
Paolo Rumiz

Paolo Rumiz:- cosi-trieste-dimentica-i-suoi-caduti-in-guerra-dalla-parte-dell-Austria


I piccoli luoghi sono una fonte inesauribile di informazioni. 
La settimana scorsa vi ho raccontato della strana lapide mortuaria di un falegname, posta all'ingresso della chiesa parrocchiale di Montagne, in val Rendena, Trentino.
Nello stesso paese, accanto a quella misteriosa iscrizione c'era dell'altro, forse ancora più interessante: i nomi dei caduti delle due guerre mondiali, affiancati in una cappella orientata verso Mezzogiorno.
In quei due semplici elenchi era riassunto tutto l'infausto secolo breve. Innanzitutto il numero dei Caduti.
Venticinque nella Grande guerra e sei soltanto nella Seconda guerra mondiale, e nulla sembrava spiegare meglio di quella lapide che la vera mattanza (per i militari più che per i civili) era stata la prima, su entrambi i fronti. 
Ma nei caduti della seconda vi era egualmente qualcosa di angosciante, la prevalenza dei dispersi sui morti con una loro tomba. Quattro contro due.
Il segno che quegli uomini erano scomparsi, inghiottiti dal nulla, dispersi nella pioggia e nella neve, e nessuno era riuscito a ritrovarli.
Il terzo e forse più interessante elemento era l'omissione della diversa bandiera sotto la quale quei poveretti avevano militato nei due conflitti. 
Non stava scritto da nessuna parte, forse col pretesto di non fare differenze fra i morti. 
Per un villeggiante di Roma o Milano quella diversità non dichiarata non era affatto intuibile. I nomi e i cognomi dei Caduti erano infatti tutti italiani.
 L'unica differenza con un analogo monumento in Piemonte o in Abruzzo stava negli anni.
Sulla lastra di marmo era scritto 1914-1918 e non 1915-18. Per l'Austria-Ungheria la guerra era iniziata un anno prima, dopo l'attentato di Sarajevo. Era quello l'unico indizio.
Per me che venivo da Trieste, rimasta austriaca fino al '18, era naturale sapere che i trentini della Grande Guerra avevano combattuto per l'imperatore di Vienna e che dall'Ortles fino all'altopiano di Asiago e all'Isonzo essi erano tra i pochi soli capaci di capire la lingua dei loro nemici nelle trincee contrapposte.
Per questo l'omissione mi era apparsa particolarmente fastidiosa, quasi fosse ancora impossibile oggi – come al tempo del fascismo – ammettere che le nazioni potessero estendersi anche oltre il loro spartiacque di competenza.
Come faccio a spiegare a un bergamasco o un siciliano che mio nonno, italianissimo, ha combattuto per l'Austria in quanto triestino, e ancora di più come faccio a fargli capire che il fratello di lui, irredentista convinto, è passato negli stessi anni dalla parte italiana?
 La complessità delle nostre frontiere non è più percepita e forse non lo è mai stata.
Così la verità sul nostro passato viene omessa.
Perché a Trieste non vi è un monumento ai Caduti triestini sotto bandiera austriaca? 
Perché non si parla delle nostre medaglie d'oro conquistate sui Carpazi sul fronte russo? 
Servirono o no il loro Paese?
Nei nomi delle nostre strade e nei nostri monumenti imperversa una disonesta retorica che mente con spudoratezza sul passato. 
Un nome su tutti: Cadorna, il generale in capo colpevole della ignominiosa disfatta di Caporetto, esponente riconosciuto del più atroce sadismo mistico nei confronti dei suoi soldati, uomo che ha mandato a morte migliaia di italiani per ingiuste fucilazioni. 
Perché gli è stata dedicata una strada? 
Che senso ha ricordare un uomo simile, solo perché italiano?